venerdì 15 febbraio 2019

Ondas do mar de Vigo

Ondas do mar de Vigo,
se vistes meu amigo?
E ai Deus!, se verra cedo?

Ondas do mar levado,
se vistes meu amado?
E ai Deus!, se verra cedo?

Se vistes meu amigo,
o por que eu sospiro?
E ai Deus!, se verra cedo?

Se vistes meu amado,
por que ei gran coidado?
E ai Deus!, se verra cedo?


Onde del mare di Vigo,
avete visto il mio amante?
O Dio, tornerà presto?

Onde del mare turbolente,
hai visto il mio amato?
O Dio, tornerà presto?

Hai visto il mio amante
per il quale io sospiro?
O Dio, tornerà presto?

Hai visto il mio amante
che amo così tanto?
O Dio, tornerà presto? 


MARTIN CODAX

mercoledì 14 gennaio 2015

Seigneurs, sachiez: qui on ne s'en ira

Signori, sappiatelo: chi ora non andrà
In quella terra in cui il Redentore fu ucciso e resuscitò
E chi non prenderà la croce d'oltremare,
È difficile che possa mai andare in paradiso.
Chi ha in sé pietà e rimembranza
Deve pretendere vendetta dell'alto Signore
E liberare la sua terra e il suo paese.

Rimarranno di qua tutti i malvagi
Che non amano Dio, né il bene, né l'onore, né il pregio;
Ed ognuno di loro dice: ”La mia donna, che farà?
Non lascerò per nessuna ragione i miei amici”.
Essi sono caduti in troppo irragionevole preoccupazione,
perché non c'è amico all'infuori di colui, in verità,
Che per noi fu posto sulla santa croce.

Ora partiranno i valenti baccellieri
che amano Dio e la pubblica reputazione,
E che saggiamente vogliono andare nella terra del Signore,
Mentre i pavidi, gli imboscati rimarranno;
Ciechi sono, non ho alcun dubbio al riguardo.
Colui che nella sua vita non porta soccorso a Dio,
Per così poco perde la stima generale.

Il Signore si lasciò per noi martoriare sulla croce
E ci dirà il giorno in cui tutti converremo:
”Voi che mi aiutate a portare la croce,
Voi ve ne andrete là dove sono i miei angeli;
Là vedrete me e mia madre Maria.
E voi da cui non ebbi mai aiuto
Discenderete tutti nel profondo inferno”.

Ognuno pensa di vivere sempre felice
E di non dovere mai sperimentare il male;
Il Nemico e il peccato li possiedono a tal punto
Che essi non hanno senno, né ardire, né forza.
Dolce Signore Iddio, togliete loro tale convinzione
E collocate noi nel vostro regno
Così santamente che vi possiamo vedere!

Cara signora, regina coronata,
Pregate per noi, Vergine beata!
Così, in seguito, nulla di male potrà capitarci.

THIBAUT DE CHAMPAGNE

venerdì 29 agosto 2014

Contrasto del povero e del ricco

Dice Il Povero (presentandosi alla casa del Ricco):
Per mercè vôi che vedete
La dolente carne nuda,
Se podere alcuno avete,
A una necessità sì cruda
Sovenite, che mia vita
Non faccia sì dura partita.

Il Ricco, dice al Povero:
Assai pietà de voi ce prende
Che sì pover te vedemo;
Ma tale scusa ce defende,
Ch'aitare non te podemo.
Vanne a colui ch'à dell'avere,
Che de bien fare à 'l buon podere.

Il Povero:
Tu se' ricco, per Dio,
Fanne alcuna caritade,
Chè bien sano non so' io
Colla molta povertade,
Per l'amore de chi l'à dato,
Acciò te sia raccomandato.

Il Ricco:
Chi è colui che i' m'à donato
Che per suo amor io te ne dia?
Io sì 'l m'aggio aguadagnato
Procurando nocte e dia,
E parte fo del pate mio,
Però te dico: va con Dio.

Il Povero:
Tucte quante avemo un Pate
De tutta gente criatore;
De quiste cose aradunate
Tu ne se' despensatore,
E de la tua despensatione
Tu arenderai ragione.

Il Ricco:
Se noi tucte avemo un pate
Donqua semo noi frateglie.
Perchè non semo aguagliate
De ricchezza onne quegle?
L'uno ricco l'altro none
Chi meie più cura quillo à piune.

Il Povero:
Frate mio, la veretade
Ensieme unite ragioniamo.
El nostro pate à una citade,
Vuol che tucte ci andiamo.
E la su serìm biate
Quante ce seròn locate.

Il Ricco:
Bien se può tener biato
Chi à 'l inondo agio e delecto,
Ed è ricco ed adagiato
E d'orme biene agio è refecto.
Io non curo d'altra vita,
Chè questa io aggio bien fornita.

Il Povero:
Frate, non te dei durare,
Non ci poner toa speranza,
Fa quel ben che tu può fare
De la tua grande abundanza:
Onne cosa lasseraie.
E nudo te departeraie.

Il Ricco ( irritato, scacciandolo):
Tu m'ai tolto el mio udire,
Tanto m'aie favellato;
Brigate de partire
Se non vuole essere mazegiato:
Vei' che posso sì godere,
tu me parli del morire!

Il Povero:
Ricco, perchè me descaccie
E dàime tante bastonate?
Date m'aie molte pontaccie
Con grandissime guanciate.
Tu sì te fide en tuo avere
non crede mai morire.

Fallita t'è la tua speranza,
Va che verraie strangolato.
Ed io te giuro en mia lianza,
Lasseraie ciò ch'ai radunato,
Serai menato en giù lo 'nferno
A quil fuoco sempiterno.

Ancora Il Povero (solo nella strada, davanti alla casa del Ricco):
Io te rengrazio, Segnor mio,
De tanta pena ch'io sostengo:
Più andare non posso io,
E più erto non me tengo,
Un pocolin me voi posare,
Mo' me posso mei grullare.

O signor che me criaste,
Resguarda le miei povertade,
Vo tutto nudo e pien de straccie,
Non trovo chi me voglia aitàre;
Al ricco chiese per tuo amore,
Cacciato m'à con gran romore.

Gli appare un Angelo:
Vien qua pover descacciato
Colla molta povertade;
El paradiso t'ò serbato
Che sia la tua redetade.
El ricco colla sua ricchezza
Starà en pena ed en tristezza.

Ancora L'Angelo (minacciando, verso la casa del Ricco):
Vede tu divitioso
Che pense avere lunga vita!
Tu se' molto superbioso,
Tosto faraie la partita;
D'onne bien serai privato,
Perché al pover se' stato engrato.

Il Ricco (nella sua bella casa):
Or te gode anima mia
A tuo modo tra delecto,
Pin'é la tua massarìa,
D'onne biene aie refecto:
Lungamente puoi godere,
De nulla cosa non temere.

Lucifero ai Demoni (nell'Inferno):
Balzabuth sta su en piede,
Vanne al ricco de presente:
De mia parte s'il richiede
Ch'a me si venga amaramente;
Perché 'gl' à 'l pover descacciato
Da noi deve esser tormentato.

I Demoni al Ricco (nella casa del Ricco):
Viene devante a Satanasse,
Ch'el te comanda per vero,
E le recchezze tu sì lasse,
E coprirte vôi de nero,
Per darte l'arra de lo 'nferno:
La giù staraie en sempiterno.

Il Ricco:
Perchè me daie tu questa entenza,
Ei mieie dilecte sì me guaste?

I Demoni:
Ché tu non feste penetenza,
Né al povero non donaste,
Aveste el tempo e non voleste;
Vien qua giù cogli altri triste.

Il Ricco:
Io non vorrìa mai esser nato,
Puoi ch'io torno a tanta pena!
Cristo sì m'à abandonato,
E la vergine Maria.
Cristo, la tua divinitade
Biastimerolla sempre maie.

I Demoni  al Ricco (traendolo a forza nell' Inferno):
Vienne avaro pecunioso,
Ch'adoraste la moneta,
Giò 'n lo 'nferno a star doglioso,
A patère pena enfinita;
En cangio del mondan tesoro
Daglie, demonia, gran martoro!

Lucifero:
Longamente t'ò aspectato
Per poderte tormentare;
Ministre mie or lo pigliate,
E qui se faccia el macellare:
Asmodeo e Belzabucte,
Astaroth dico, Aliabutte.

Il Ricco:
Aqua, ghiaccio e fuoco arsente,
Quiste sono le mie pene;
Io so' messo tra i serpente,
Mangiano le carni mieie,
Cristo perchè me criaste,
Puoi ch'a lo 'nferno me dannaste?

Lucifero:
Stemperate oro e argento,
Dateglielo per beveraggio;
Fuoco e fiamma e gran tormento:
Sempre faccia quisto saggio,
Ch'eglie l'à bien meretato.
Starà con noi acompagnato.

Il Ricco (volgendosi alla soglia del Paradiso, grida ad Abramo):
Abraam per cortesia
Or m'entende un pocolello.
Dimme a Lazzaro savìa
Ch'el suo dito mignarello
Entro l'acqua sì l'entenga,
E sì mel poni su la lengua.

Abramo:
Ricco, tu ne sei privato,
Nol poderaie aver giammaie.
Tra noie e voie è un gran fossato,
Non curam de vostre guaie,
Tu del pover non curaste:
Staraie en pena sempre abassie.

Il Ricco:
Abraam, vógliete pregare
Che me deggie ancora udire.
Fa alcun morto suscitare,
Ai mieie parente tu i' fa gire:
Che faccian sì buona vita,
Non siano dannate a la partita.

Abramo:
Eglie aggion la Scriptura,
Non bisogna suscitare.
Entendenla con dirictura,
Come l'odon predecare;
Chi serà ricco de malo affecto
Con esso teco serà electo.

Ancora Abramo (volgendosi agli spettatori):
A tucte dòi esto conseglio,
Che viviate en caritade.
Cristo el disse: per lo meglio
Fa col povero amistade;
Perciò che suo è 'l paradiso;
El ricco se ne sta diviso.

Anca questo ve recordo
De far sempre penetentia,
A l'uom dannato si remorde
Sempre maie la coscienza;
Colui che ne recomparone
Sì ve conduca a salvatione.

ANONIMO dalle «laudes Evangeliorum» dei laudari delle confraternite di Perugia

martedì 1 luglio 2014

Cantico delle creature

«Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate»

FRANCESCO D'ASSISI

venerdì 21 febbraio 2014

S'i fosse fuoco

S'i fosse fuoco, arderei 'l mondo;
s'i fosse vento, lo tempestarei;
s'i fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i fosse Dio, mandereil' en profondo;
s'i fosse papa, allor serei giocondo,
ché tutti cristiani imbrigarei;
s'i fosse 'mperator, ben lo farei;
a tutti tagliarei lo capo a tondo.
S'i fosse morte, andarei a mi' padre;
s'i fosse vita, non starei con lui;
similemente faria da mi' madre.
Si fosse Cecco com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.


CECCO ANGIOLIERI

sabato 27 luglio 2013

Sire cuens, j’ai vielé

Signor conte, ho suonato la viella
davanti a voi, nel vostro palazzo,
e non mi avete regalato nulla,
né pagato salario:
è villanìa!
Per la fede che devo a Santa Maria,
così non potrò stare al vostro seguito:
la mia scarsella è poco fornita
e la mia borsa poco piena.
 

Signor conte, suvvia comandate
quel che volete di me.
Signore, se v´aggrada,
suvvia, donatemi un bel dono,
per cortesia!
Ché ho desiderio, non ne dubitate,
di tornare dai miei:
quando faccio ritorno a borsa vuota
mia moglie non mi sorride!

Anzi mi dice: “Signor Babbeo,
in che paese siete stato,
che non avete guadagnato nulla?
Troppo siete andato a spasso
giù per la città.
Guardate come è floscio il vostro zaino:
è pieno soltanto di vento.
Sia vituperato chi ha voglia
di stare in vostra compagnia!’

Ma quando torno a casa
e mia moglie ha adocchiato
sulle mie spalle gonfia la bisaccia
e ch´io son ben vestito
d´un abito foderato,
sappiate ch´ella subito ha deposto
giù la conocchia senza far commedie,
e mi sorride schiettamente
e mi getta le braccia al collo.

Mia moglie corre a sciogliere
il mio zaino senza indugio;
la mia serva corre ad ammazzare
due capponi per cucinarli
alla salsa d´aglio;
mia figlia mi porta un pettine
con le sue mani, cortesemente.
Allora son padrone a casa mia
più che nessuno potrebbe narrare.

COLIN MUSET

venerdì 18 gennaio 2013

D'un'amorosa voglia

«D'un'amorosa voglia
d'amar incomenzai,
donna, quando sguardai
lo vostro viso placent'e adorno.

D'un'amorosa voglia
d'amar incomenzai,
donna, vostro vallore;
or m'è tornato 'n doglia,
sí ch'eo nun credo mai
ralegrar lo meo core;
poi sun de vita fore,
donna, pensando bene
la pena che sostene
la vostra signorïa zascun zorno».

«Nun crezati, meo sire,
che per pena ch'eo senta
muti cor né talento.
La mia ment'e 'l desire
molto se ne contenta
et è llui placemento.
Dunqua provedemento
azati al nostr'amare
in volerlo cellare,
ché de voler senza vui non sezorno».

BIAGIO AULIVERII