mercoledì 3 agosto 2011

Versus ad regem precando - Preghiera a Carlo Magno

Verba tui famuli, rex summe, adtende sereus,
respice et ad fletum cum pietate meum.
Sum miser, ut mereor, quantum vix ullus in orbe est;
semper inest luctus, tristis et hora nihi.
Septimus annus adest, ex quo nova causa dolores
multiplices generat et mea corda quatit.
Captivus vestris extunc germanus in oris
est meus, afflicto pectore, nudus, egens.
Illius in patria coniunx miseranda per omnes
mendicat plateas ore tremente cibos.
Quattuor hac turpi natos sustentat ab arte,
quos vix pannuciis praevalet illa tegi.
Eat mihi, quae prims Christo sacrata sub annis
excubat, egregia simplicitate soror:
haec sub sorte pari luctum sine fine retentans
privata est oculis iam prope flendo suis.
Quantulacunque fuit, direpta est nostra suppellex,
nec est, heu, miseris qui ferat ullus opem.
Coniunx est fratris rebus exclusa paternis,
iamque sumus servis rusticitate pares.
Nobilitas perit miseris, accessit egestas:
debuimus, fateor, asperiora pati.
Sed miserere, potens rector, miserere, precamur,
et tandem finem his, pic, pone malis !
Captivum patriae redde et civilibus arvis,
cum modicis rebus culmina redde simul,
mens nostra ut Christo laudes in saecla frequentet,
reddere qui solus praemia digna potest.

O re grande, ascolta benigno le parole del tuo servo,
guarda con pietà al mio pianto.
Sono infelice quanto nessun altro al mondo, come mi merito;
vivo sempre nel lutto e la mia vita prosegue tristemente.
È il settimo anno da che una causa inattesa mi provoca
dolori senza fine, scuotendo il mio cuore.
Da allora, nelle tue terre, mio fratello è prigioniero,
affranto nell'animo, nudo e senza mezzi.
La sposa miseranda in patria per tutte le piazze
chiede senza tregua del cibo con voce tremante.
Così amaramente provvede ai quattro figlioli,
e a stento riesce a ricoprirli di miseri panni.
Ho anche una sorella dagli anni della giovinezza a Cristo
consacrata, un animo di raro candore il suo:
la sorte per lei è di un'uguale trsitezza e vive un dolore senza fine,
il pianto dirotto le ha quasi tolto la vista.
I nostri beni, per quanto modesti, sono stati trafugati,
non esiste, ahimè, chi porti aiuto ai miseri.
La sposa del fratello è esclusa dai beni paterni,
e la nostra miseria ci fa simili ormai ai servi.
Caduta la nobiltà, per i miseri si è aggiunta l'indigenza.
Avremmo dovuto patire, confesso, mali più duri.
Ma tu, che tutto reggi, abbi di noi pietà, ti preghiamo,
poni fine ai nostri mali, o clemente.
Restituisci il prigioniero alla patria e alla terra
degli avi e con poche cosr ridaglli anche un tetto
perché la nostra anima celebri per sempre le lodi al Cristo,
che solo può darr la giusta ricompensa.

PAOLO DIACONO

martedì 31 maggio 2011

Moderni perspicaciores sunt quam antiqui,
sed non sapientiores...
sumus quasi nanus aliquis humeris gigantis superpositus
..plura videmus antiquis, quia scripta nostra parva
et magnis operibus superaddita,
sed non ex ingenio et labore nostro, immo illorum.

I moderni sono più perspicaci degli antichi,
ma non più sapienti...
siamo come un nano sulle spalle di un gigante...
vediamo più degli antichi perché i nostri piccoli scritti
si aggiungono a grandi opere:
il tutto, però, risulta non dal nostro ingegno e
dalla nostra fatica, ma dalla loro.

GUGLIELMO DI CONCHES

lunedì 10 gennaio 2011

Aut lego vel scribo - O leggo o scrivo

Aut lego vel scribo, doceo scrutorve sophiam,
obsecro celsithronum nocte dieque meum.
Vescor, poto libens, rithmizans invoco Musas,
dormisco stertens, oro deum vigilans.
Conscia mens scelerum deflet peccamina vitae:
parcite vos misero, Christe, Maria, viro!

O leggo oppure scrivo, imparo e verifico la saggezza,
di giorno e di notte imploro il mio celeste signore.
Mangio, bevo volentieri, componendo versi invoco le Muse,
dormo russando, quando sto sveglio prego Iddio.
Conscia dei peccati, l'anima piange gli errori del vivere:
Cristo, Maria, abbiate pietà di un poveraccio come me!

SEDULIO SCOTO